Onorevoli Colleghi! - Allo stato della legislazione, le comunità montane sono unioni di comuni funzionali alla valorizzazione socio-economica delle zone montane.
      Nel corso degli anni è apparso evidente come l'intento del legislatore di favorire lo sviluppo delle zone montane sia rimasto lettera morta, non avendo trovato la giusta attuazione sul piano pratico.
      Infatti le comunità montane, concepite come enti di governo del territorio, si sono ben presto trasformate in enti di spesa e di mal governo.
      I «rubinetti della spesa pubblica» hanno, per molto tempo, elargito, attraverso le comunità montane, ingenti somme di danaro, per la creazione di inutili ed inefficienti strutture burocratiche, senza peraltro favorire lo sviluppo delle aree interessate.
      Il decentramento e l'istituzione di enti più vicini alle collettività non devono tradursi nella creazione di pericolosi doppioni e nel rischio di sovrapposizioni tra enti locali.
      È necessario semplificare e razionalizzare il mondo degli enti locali, eliminando le comunità montane in quanto fonti di sprechi, burocrazie e inefficienze.
      L'unico ente intermedio tra la regione e il comune deve essere la provincia.
      Le province, infatti, per la loro rappresentatività espressa con l'elezione diretta dei loro organi, si configurano come enti esponenziali delle popolazioni amministrate e pertanto hanno il medesimo titolo di legittimazione dei comuni e della regione.
      La comunità montana, invece, quale ente secondario a rappresentanza indiretta, non può configurarsi quale ente esponenziale delle popolazioni da essa amministrate, ma è solo un ente di raccordo e di coordinamento tra altri enti. Si tratta, perciò, di un ente secondario non rappresentativo dei cittadini.
      Le comunità montane non contribuiscono allo sviluppo delle aree montane,

 

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ma sono esclusivamente enti «distributori» di consulenze e incarichi.
      Nel clima di austerity che sta vivendo il nostro Paese, il taglio degli sprechi deve costituire la principale missione della classe dirigente.
      Non si può, da una parte, chiedere sacrifici ai cittadini e, dall'altra, tollerare sistemi improduttivi e parassitari. E le comunità montane sono proprio questo: strutture elefantiache che elargiscono posti e risorse «agli amici e agli amici degli amici».
      All'abolizione di tali enti non osta nemmeno la Carta costituzionale. La riforma del 2001, infatti, non annovera tra gli enti locali le comunità montane, con ciò considerandole enti marginali, non necessari.
      La soppressione delle comunità montane è, dunque, perfettamente compatibile con la Costituzione.
      Per tale motivo con semplice legge ordinaria si può procedere alla rimozione di tali enti dall'ordinamento mediante abrogazione degli articoli 27, 28 e 29 del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.
      Recentemente, il rischio di sovrapposizione e duplicazioni fra enti locali è stato percepito anche da alcune regioni italiane (Sicilia, Friuli Venezia Giulia) che hanno provveduto, con legge regionale, alla soppressione delle comunità montane presenti sul proprio territorio.
      Bisogna, infine, sottolineare come l'intento di sopprimere le comunità montane non intacchi minimamente lo specifico status dei comuni montani.
      Ciò che cambia sono i soggetti titolari degli interventi a favore dei comuni (la provincia e i comuni stessi) e non più le comunità, che per la loro ridotta dimensione e la loro debolezza strutturale si sono spesso rivelate insufficienti per dare corso ad una politica attiva a favore dei territori montani. Non vi sarà, quindi, una riduzione di fondi, ma solo una ottimizzazione delle risorse.
      Competenze e fondi delle comunità montane verranno trasferiti ai comuni e alla provincia, e cioè ad enti primari direttamente rappresentativi delle comunità locali.
      La valorizzazione del territorio deve necessariamente passare attraverso una responsabilizzazione di comuni e province, sia per l'importanza ad essi riconosciuta dalla Costituzione sia per la forte compenetrazione che tali enti hanno con i problemi e le realtà locali.
      Nel piano di ripartizione delle competenze, i comuni devono avere il ruolo principale nella realizzazione di opere e interventi propedeutici allo sviluppo delle aree interessate.
      La provincia ha il dovere di coordinare l'azione delle diverse realtà comunali e deve, poi, sostenere e patrocinare progetti ad ampio coinvolgimento del territorio, favorendo intese e accordi tra i comuni interessati.
      Infine la normativa di dettaglio sull'organizzazione e divisione dei compiti tra comuni e provincia sarà stabilita dalla regione.
 

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